Quanto la valutazione della realtà incide sul nostro umore?


Vorrei partire da una frase detta da Epitteto parecchio tempo fa: “Non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che noi abbiamo di quelle cose”; questa frase che in apparenza risulta banale rappresenta il nocciolo di qualcosa di estremamente importante: la nostra visione del mondo. Ciascuno di noi conosce le diverse risposte di un ottimista e di un pessimista sul medesimo oggetto: l’ottimista dice che il bicchiere è mezzo pieno, il pessimista che è mezzo vuoto pur guardando entrambi lo stesso bicchiere. Questo esempio dimostra come la nostra visione del mondo non è la perfetta riproduzione della realtà così come è ma è, invece, il frutto di una negoziazione di significati sulla realtà. In questa prospettiva, la narrazione assume un ruolo centrale, in quanto condiziona il processo attraverso il quale attribuiamo significato a noi stessi, agli altri e al mondo circostante. In altre parole, riorganizziamo in forma di storie gli eventi vissuti e ciò ci permette di darne un senso.  Da quanto detto appare chiaro che la narrazione diventa un importante veicolo di cambiamento.
Perfettamente in linea con quanto appena detto, come da me scritto in un altro post,  per l'approccio breve-strategico, presupposto è che ognuno di noi agisce sulla base dei significati attribuiti ad un evento, significati che sono, per lo più, appresi, modificati ed elaborati nel proprio percorso di vita; per cui il cambiamento e la soluzione di problemi personali e relazionali, deve necessariamente passare dalla trasformazione delle modalità di significato attribuito che ciascuno struttura nei confronti della situazione che si sta vivendo. Tutto questo avviene all’interno di un cammino di narrazione quale può essere un percorso psicologico, di counselling o una psicoterapia. Per dirla diversamente, cambiare il proprio punto di vista, la prospettiva da cui si osserva la realtà ne modifica la percezione con il risultato di un cambiamento nel modo di sentire il problema, ovvero sull’impatto emotivo che esso determina.
Per concludere, riporto la favola del contadino, una bella e antica storia cinese rappresentativa di quanto precedentemente  scritto:
Il contadino che abitava in un piccolo borgo sperduto un giorno scoprì che la sua vacca, uscita dal recinto, era scomparsa. Mentre la cercava, s'imbattè nel vicino, che gli domandò dove stesse andando. quando rispose che aveva perso la vacca, il vicino commentò scrollando il capo: "Che sfortuna".
"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" ribattè il contadino e proseguì per la sua strada. Oltrepassati i campi coltivati, giunse sulle colline e qui trovò la sua vacca che pascolava tranquillamente accanto a un magnifico cavallo. Ricondusse la vacca verso casa, e il cavallo gli venne dietro.
Il mattino seguente, il vicino venne per avere notizie della vacca. Vedendola di nuovo nel suo recinto accanto al magnifico cavallo, chiese al contadino che cosa fosse successo. Quando gli spiegò che il cavallo gli era venuto dietro, il vicino esclamò: "Che fortuna!".
"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino e tornò alle sue faccende. Il giorno seguente suo figlio venne congedato dall'esercito e tornò a casa. Tentò immediatamente di salire in groppa al magnifico cavallo, ma cadde a terra e si ruppe una gamba. Il vicino, che passava di lì diretto al mercato, vide il giovanotto seduto sulla veranda colla gamba ingessata mentre il padre zappava l'orto e chiese che cosa fosse successo. Ascoltò scrollando il capo, e poi fece: " Che sfortuna!"
"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" rispose il contadino continuando a zappare il suo orto.
L'indomani il reparto del giovanotto arrivò a passo di marcia per il sentiero. Nel corso della notte era scoppiata la guerra e gli uomini si recavano al fronte. Vedendo che il figlio non era in grado di andare con loro, il vicino si sporse oltre lo steccato e rivolgendosi al contadino che si trovava nel campo osservò che almeno gli era stata  risparmiata la sciagura di perdere il figlio in guerra: "Che fortuna!", esclamò.
"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino , riprendendo ad arare il campo.
Quella sera il contadino e suo figlio si sedettero a tavola per cena, ma dopo aver mangiato appena qualche boccone il figlio rimase soffocato da un osso di pollo e morì. Al funerale il vicino mise la mano sulla spalla del contadino e disse tristemente: "Che sfortuna!"
"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino, deponendo un fascio di fiori accanto alla bara.
Qualche giorno dopo il vicino venne da lui colla notizia che l'intero reparto di suo figlio era stato massacrato. " Tu almeno hai potuto essere vicino a tuo figlio quando è morto. Che sfortuna!" disse.
 "Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" rispose il contadino e si avviò al mercato. E così via...
La maggioranza di noi è come il vicino della favola. Un dato avvenimento è una fortuna o una disgrazia? Le emozioni dipendono dalla modalità in cui ognuno di noi valuta ed interpreta gli avvenimenti.

Bibliografia e Sitografia:
Nardone, G., Watzlawick, P. (2010), “L’arte del cambiamento”, Milano: TEA.
Palazzolo, S., Petruccelli, F. (2012), Counselling Strategico, Collana di Psicologia Strategica: Essepiesse Editore.

Commenti

Contattami

Nome

Email *

Messaggio *

Post popolari in questo blog

L’indispensabile equilibrio tra famiglia e lavoro

Benvenuti!

Coronavirus. Piccoli suggerimenti